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Microplastiche e Microfibre. Come evitarle con scelte consapevoli

L’aumento della produzione e conseguente utilizzo della plastica, nonché il suo errato smaltimento, negli ultimi decenni, ha incrementato l’inquinamento degli oceani.

Il campionamento delle acque ha mostrato la rilevazione di altissime percentuali di microplastiche. Addirittura sono state rinvenute microplastiche oltreché sostanze chimiche pericolose, in Antartide, come testimonia la recente spedizione di GreenPeace.

Le microplastiche sono particelle microscopiche di plastica risultanti non soltanto dalla frammentazione degli oggetti in plastica (come le bottiglie o il packaging dei vari prodotti) ma anche dalla degradazione degli oggetti e dell’abbigliamento.

Costituiscono il 35 % delle microplastiche primarie le microfibre dei vestiti.

Ogni anno le lavatrici rilasciano nell’acqua circa 700 mila fibre. Di fatto il lavaggio in lavatrice di tessuti sintetici, è uno dei principali imputati, del rilascio di microplastiche nell’ambiente.

Queste fibre, che sono di dimensione talmente piccola, spesso invisibili ad occhio nudo, non sono filtrate né dalla lavatrice né dagli impianti di depurazione delle acque. Non solo queste microfibre, secondo uno studio condotto dall’Università di Milano, finiscono per l’84% nei fanghi di depurazione utilizzati per le concimazioni, ma la restante parte viene sversata nei laghi, nei fiumi, e nei mari entrando così nella catena alimentare in quanto, scambiate per plancton dai pesci, raggiungono, di fatto, i nostri piatti. Gli studi condotti mostrano infatti, la presenza anche di microfibre nella maggiorparte dei pesci analizzati e non soltanto nel loro stomaco ma anche nel sangue.

Il pericolo maggiore, tuttavia consiste nel fatto che le microplastiche, costituiscono veicolo di sostanze inquinanti persistenti e tossiche all’interno degli esseri viventi, essendo in grado di assorbirle. Non si conoscono ancora gli effetti e le conseguenze delle microplastiche per la salute dell’uomo, ma sono plausibili danni consistenti in modificazioni genetiche e alterazioni del sistema immunitario. La plastica oggi si trova dappertutto, nell’acqua che beviamo, nei cosmetici, nei vestiti, negli alimenti e nell’aria. Praticamente ci siamo plastificati senza rendercene conto.

Sono davvero allarmanti, In relazione alle microfibre, i risultati pubblicati dall’Istituto per i polimeri compositi e biomateriali (IPCB) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) su Nature/scientific report.

I ricercatori utilizzando una lavatrice comune e vari sistemi di filtraggio supplementari, hanno simulato diverse prove di lavaggio allo scopo di quantificare il rilascio di microfibre. Pare che un kilo di bucato rilasci fino a 1,500.000 di microfibre. Sono in particolare alcune tipologie di tessuti come il poliestere, la viscosa o il modal. Sono risultati migliori i tessuti compatti con filamenti lunghi, continui e attorcigliati e a bassa pelosità.

Un altro studio condotto dall’Università del Newcastle ha evidenziato invece, che il rilascio di microfibre sia maggiore nei lavaggi delicati, in quanto correlato al maggiore volume di acqua utilizzato.

Marevivo ha avviato la campagna #stopmicrofibre, che si rivolge principalmente agli stilisti invitandoli a scegliere tessuti di maggiore qualità e una maggiore precisione nelle etichette. Dal canto suo il consumatore per ridurre tali produzioni o per eliminarle, può prediligere capi in fibre naturali (come lino, lana e canapa) e prodotti in Italia, usare detersivi biologici e di quantità inferiore, una ridotta temperatura ed una minore centrifuga.

Negli ultimi anni sono stati avviati studi per l’utilizzo di filati e tessuti che non rilasciano microfibre come quelli ottenuti dagli scarti della lavorazione del cocco, del tè verde o della pelle di ananas. Numerosi brand hanno cominciato ad utilizzare tessuti naturali biologici certificati.

Due ragazze siciliane, Adriana Santonocito ed Enrica Arena hanno realizzato "Orange fiber" un tessuto simile alla seta o al cotone, estraendo la cellulosa dalle bucce d’arancia.

Inoltre un altro progetto innovativo e sostenibile che punta anch’esso sull’utilizzo delle bucce d’arancia, è stato realizzato dall’azienda Carlo Ratti Associati ed è il "Feel the Peel". Si tratta di uno spremiagrumi che dopo aver prodotto la spremuta realizza con le bucce, tazze in bioplastica, in cui viene servita la spremuta.

In un momento come questo, di grave crisi ecologica, progetti come questi meritano sicuramente un plauso.

Non si può, non rendersi conto, dell’impatto ambientale che le nostre azioni quotidiane provocano.  Ognuno di noi può fare la differenza, compiendo scelte più consapevoli!

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